Cinquant'anni fa Reggio Calabria insorgeva.
Cinquant'anni fa il popolo reggino scriveva la storia.
Cinquant'anni fa la sinistra decretava uno dei suoi tanti fallimenti, avendo regalato la causa della rivolta al Movimento Sociale Italiano anziché convergere con gli avversari politici in nome di una sacrosanta battaglia.
Ma nonostante la deriva di destra i reggini nella loro totalità avevano dimostrato uno straordinario senso di appartenenza.

Oggi chiunque promuova manifestazioni e faccia attivismo nel territorio deve subire lo stigma sociale dei "nun c'è nenti", di una cittadinanza rassegnata al malaffare e disinteressata al proprio futuro.
Sostenere questo clima di apatia e mediocrità è difficile, soprattutto a 22 anni.
Il crimine perpetrato ai danni della nostra città è stato quello di disilluderci e smantellarci progressivamente: prima a livello istituzionale, poi a livello individuale.
Pare stiano ultimando i lavori: la fase finale prevede l'annientamento dei cittadini e dei pochi giovani che resistono nella propria terra?
Per intossicazione tra i cumuli di rifiuti o per insostenibilità del debito comunale?
E se fossimo già morti?
Quando una comunità smette di occupare le piazze e di insorgere contro la cattiva politica e il malaffare è morta, oltre che vulnerabile a qualsiasi abuso perché non susciterebbe più indignazione.
Ma questa moribonda comunità può e deve resuscitare.

Io non ho mai creduto agli ipse dixit e non accetterò questo finale.
Mi adopererò per cambiarlo.
Forse le immagini dei moti possono ricordarci quel che eravamo, quel che per età anagrafica la mia generazione non ha mai conosciuto e sarebbe utile ripassare.