Oggi non c'è un cazzo da festeggiare (sempre che non abbiate compleanni o altre ricorrenze).

La caduta del muro di Berlino ha rappresentato più un trauma che l'affermazione della democrazia nell'Est Europa: ne osserviamo le conseguenze in Donbass e altri territori, dove lo scontro in larga scala tra Russia e Stati Uniti è riprodotto su piccola e media scala tra cittadini filoccidentali e filorussi.

C'è una parte di popolazione europea che a quelle latitudini non ha accettato la dissoluzione dell'Unione Sovietica, e che oggi non può che riporre "fiducia" nel suo più indegno ma al contempo autorevole erede, Vladimir Putin.

Festeggiare la caduta del muro di Berlino significa dare sostegno consapevole o ingenuamente inconsapevole all'universalismo statunitense, quello di cui ci parlano pensatori non necessariamente filosovietici come Carl Schmitt (lui che ha vissuto ben quattro stagioni politiche in Germania).

Dispiace che una parte della sinistra radicale, anche tra esponenti politici di cui ho stima, celebri questa ricorrenza per consuetudine senza chiedersi quali tristi sviluppi storici abbia determinato.

Tristi furono anche gli sviluppi della Comunità Economica Europea nell'attuale Unione Europea, all'insegna dell'austerità e della cessione di sovranità democratica e nazionale, nonché di un sistema economico volto ormai verso il globalismo finanziario e un'affermazione capillare del neoliberismo.

Questa non è la festa della democrazia in Paesi che, sebbene abbiano abbandonato l'autoritarismo sovietico, hanno riscoperto e riabilitato il neonazismo a livello istituzionale (ogni riferimento a Ucraina, Polonia e Ungheria è puramente casuale).

Questa è la festa degli americani, l'affermazione forzata di un sistema valoriale capitalista a discapito di un sistema valoriale socialista.